Un tipico meccanismo di danneggiamento degli stampi da pressocolata, solitamente costruiti con acciai AISI H11 o AISI H13, è la formazione di cricche sulla superficie delle pareti stampanti, che si ripercuotono poi sui getti in lega di Al. Tra gli acciai che contengono Cr, Mo, V, l’H13 è sicuramente uno dei migliori in quanto abbina alle ottime proprietà di resistenza al rinvenimento anche fatica termica (sotto i 650°C) e tenacità, oltre a una certa resistenza all’usura erosiva-abrasiva, fornita dalla presenza dell’1% di V. L’80% dei cedimenti dei componenti meccanici è infatti imputabile a fenomeni di fatica.

Un problema che limita la vita degli stampi
Il difetto in esame è dovuto: all’interazione del metallo liquido con lo stampo, alla fatica termica a cui è sottoposto l’acciaio, soprattutto se non vengono utilizzati sistemi di termoregolazione dello stesso, poiché si generano gradienti termici ed aumenta il D tra la temperatura del metallo e quella delle pareti d’acciaio a contatto col liquido.
Il fenomeno della fatica termica è un problema molto importante che limita la vita degli stampi e consiste in un degrado superficiale, che porta a una fitta rete di cricche a ragnatela e comporta operazioni di riparazione per il ripristino della finitura superficiale, da cui derivano inoltre costosi fermi degli impianti.
La scelta dell’acciaio e il trattamento termico e superficiale dello stesso sono di vitale rilievo. Gli stampi da lavorazione a caldo sono sottoposti a una grande varietà di sollecitazioni termiche e meccaniche. Se gli sforzi hanno origine solamente per effetto delle variazioni cicliche di temperatura, ossia in assenza di sollecitazioni meccaniche esterne, si parla di fatica termica. Tale definizione si riferisce in senso generale all’insieme di modificazioni strutturali, dimensionali, di finitura superficiale e non da ultimo alla frattura del materiale dovuti a raffreddamento e riscaldamento ciclico.
Gli sforzi sono causati da elevati gradienti di T in un componente o in una sezione dello stesso. Un tipico esempio si verifica quando la libera espansione di una superficie riscaldata risulta ostacolata. La deformazione netta subita da una porzione di materiale alla temperatura T>T0 è data da: etot= eth + emec= a(T-T0)+emec.
Assumendo  che la deformazione sia completamente vincolata dalla porzione fredda del materiale, ossia etot=0, emec=-a(T-T0) e la sollecitazione corrispondente (s) può essere stimata moltiplicando tale deformazione per il modulo elastico del materiale E: s= -Ea(T-T0), ove E=modulo elastico ed a=coefficiente di dilatazione termica. Al raffreddamento, la deformazione avviene nella direzione opposta e si possono sviluppare sforzi di trazione sulla superficie. I cicli ripetuti di riscaldamento e di raffreddamento daranno luogo sulla superficie dello stampo a danneggiamento per fatica termica, che si manifesta col fenomeno di pirocriccatura. In tal caso si parla di sollecitazioni termiche controllate da deformazione. Nel caso generale, la deformazione può non essere perfettamente vincolata (etot¹0) e in questo caso si parla di constraint parziale e lo stato di sollecitazione è diverso da quello calcolato. Se gli sforzi sono causati da vincoli allo spostamento, di un corpo da parte di un altro corpo che ne ostacoli la dilatazione o la compressione, si parla di sollecitazioni termiche controllate dallo spostamento.

tratto da: http://www.fonderianews.it/crettature-da-fatica-termica-su-stampi-da-pressocolata/

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